Storie di pazienti e persone del Meyer

Annalisa, Emanuele e quel test salvavita

Babbo Gaetano ha un toscanissimo accento della Versilia e nel raccontare la storia della sua bambina utilizza le parole con grande cura.  A sei anni da quando al Meyer  diagnosticarono  alla sua Annalisa un’Immunodeficienza Severa Combinata, lui padroneggia i termini medici che la riguardano con la dimestichezza di chi, giocoforza, ha dovuto imparare a comprenderli fino in fondo.
 Ma quando deve scegliere come descrivere il team di medici che ha seguito sua figlia si ferma ed esita. Come se misurasse le parole per capire se sono abbastanza grandi da contenere tutto l’affetto e la stima che sente per le persone delle quali sta parlando.
 “Ecco io oserei dire che adesso a quelle persone ci lega una sorta di… Amicizia. Sia nel momento del ricovero, che in quello della diagnosi, e poi al rientro a casa, li abbiamo sempre sentiti vicini. Ci hanno sempre fatti sentire come parte di una squadra”.  

Dopo una serie di accertamenti, la professoressa Chiara Azzari diagnosticò ad Annalisa un’Immunodeficienza Severa Combinata

La diagnosi. Riavvolgiamo il nastro. Quella squadra, della quale adesso babbo Gaetano e mamma Benedetta,  si sentono parte, nasce nel 2010. Quando Annalisa ha pochi mesi, inizia ad andare al nido e loro si rendono conto che si ammala in modo strano: “Vedevamo che le sue febbri, al terzo giorno, anziché diminuire come quelle del fratello andavano a salire. Si ammalava spesso e ogni volta respirava male, con il respiro corto e veloce come se avesse l’asma”.  Poi, un giorno, arriva un episodio più forte e la prima corsa al Meyer. “L’esame del liquor, allora, rilevò un’encefalite da enterovirus”. Quella fu risolta rapidamente, per fortuna. Ma rimanevano le difficoltà respiratorie, e la continua necessità di ossigeno e cortisone. “Dopo una serie di accertamenti, la professoressa Chiara Azzari individuò un’Immunodeficienza Severa Combinata”.  
Annalisa, cioè, era nata con una grave compromissione del sistema immunitario, che lo rendeva incapace di difendere il suo piccolo organismo dagli attacchi degli agenti infettivi. E così anche un banale raffreddore si trasformava, per la sua salute, in una grave minaccia. L’unica strada terapeutica possibile era quella del trapianto di midollo osseo. Ma ci voleva un donatore compatibile: “Ha potuto farlo il fratello di tre anni più grande ed è stata una grande fortuna”, racconta babbo Gaetano.
Emanuele, insieme a mamma Benedetta sempre presente, è uno dei protagonisti di questa storia, ha avuto un ruolo preziosissimo. Sì, perché il trapianto è andato a buon fine e ha rimesso in moto il sistema immunitario della piccola, anche se, naturalmente, è stato necessario un lungo ricovero: “Abbiamo avuto un’assistenza impeccabile. Annalisa ha festeggiato nel Tmo (l’area del Meyer dedicata ai  trapianti di midollo osseo, ndr) il suo secondo compleanno e gli operatori le hanno persino fatto trovare la torta”.

Ci hanno sempre fatti sentire parte di una Squadra

L’importanza dello screening.  Oggi la bambina sta bene, è un piccolo vulcano e non resta praticamente niente dei problemi che la malattia le aveva causato. Al tempo della sua diagnosi, purtroppo non era ancora disponibile quello screening neonatale per le Immunodeficienze che oggi, al Meyer, viene utilizzato ogni anno su 30mila bambini. Tutti i piccoli nati in Toscana vengono sottoposti a un test  che, combinando la spettrometria di massa e la biologia molecolare consente di individuare tempestivamente il 95% delle immunodeficienze severe combinate, come quella di Annalisa.
Questo significa che, a poche ore dalla nascita, i bambini che ne sono affetti possono essere curati e che una patologia che altrimenti potrebbe essere anche fatale si risolve con una terapia. “Al tempo, non era ancora disponibile lo screening neonatale. Alla nostra bambina ‘è andata bene’ grazie alla prontezza dei medici.  Lo screening è davvero uno  strumento salvavita  per i bambini nati con IDP: se allora avessimo già avuto a disposizione quel test, anche per Annalisa sarebbe stato tutto molto diverso”.

Grazie a un test messo a punto al Meyer ogni anno si salva una classe di bambini

È stato proprio un team multidisciplinare del Meyer, guidato dalla professoressa Azzari, a mettere a punto questo test, unico al mondo, che ogni anno salva l’equivalente di una classe di bambini. Oggi il Meyer cresce ancora, con il programma triennale Meyerpiù: lo fa anche per mettere ali sempre più grandi alla ricerca.