Storie di pazienti e persone del Meyer

Simone e quel Meyer dove tornare

Simone, al Meyer, ci è arrivato che stava bene. Un controllo casuale, un esame del sangue che aveva rivelato qualcosa che non andava e poco dopo una diagnosi spiazzante: leucemia. Oggi ha 18 anni e ci è tornato da “quasi lavoratore” con un progetto di alternanza scuola/lavoro. E sul suo futuro, complice una grande dottoressa, ha le idee ben chiare.

Il giorno in cui è entrato la prima volta al Meyer, quattro anni fa, è stato il primo di un nuovo corso. Per lui, per la sua famiglia. Visite, esami. Una cura un po' prepotente che però era l'unica possibile.

Intanto si avvicinava l'esame di terza media. Simone ci teneva tantissimo, non voleva perdere l'anno: “Lo ho sostenuto lo stesso, con la febbre e i brividi, proprio durante i giorni del ricovero al Meyer, grazie al progetto di scuola in ospedale”.

Un gancio con la normalità - con la vita “di prima” e con quella che verrà dopo - importantissimo per tanti bambini che, grazie a questo programma, riescono a continuare a studiare.

Poi è arrivata l'attesa per il trapianto di midollo, necessario per permettere all'organismo di ripartire da zero.

Ci sono voluti due mesi per trovare un donatore compatibile. Mi sento molto fortunato per questo: io sono stato adottato e dunque non avevamo riferimenti biologici e per questo i tempi avrebbero potuto allungarsi moltissimo

“Potevo solo affidarmi al registro donatori, senza poter contare sulla compatibilità di genitori o fratelli, come normalmente avviene. Questo dettaglio, così legato a una buona azione, mi fa sentire ancora più fortunato”. La buona azione, in questo caso, è arrivata da lontano, con un giovane donatoreamericano che ha dato il via alla ri-partenza di Simone. Non lo nasconde: ”Le settimane di isolamento che sempre seguono a un trapianto sono state un po' dure”. Ma poi è andato tutto meglio: Simone ha ripreso la sua vita da dove la aveva lasciata, con immensa gratitudine per chi ha contribuito a restituirgliela.
Adesso ha un grande sorriso, prosegue il follow up con controlli ogni sei mesi, e ha lo sguardo ben teso al futuro:

Vorrei fare il pediatra, sì. Un po' è come se mi ci vedessi di già con il camice! Il periodo trascorso al Meyer, a contatto con infermieri e medici straordinari, mi ha spinto a mettermi nei panni di questi operatori

“Sono legato al ricordo di tantissimi di loro, ma in particolare la dottoressa Annalisa Tondo mi ha fatto venire voglia di diventare un medico. Anzi: un buon medico”.


Simone è un giovane adulto, ha pensieri molto profondi e un legame speciale con il “suo Meyer”: “Quando ci torno per i controlli, mi piace fermarmi a giocare insieme ai bambini che ora affrontano il mio stesso percorso di allora. È come se una parte di me fosse collegata all'ospedale: una parte di me rimane qua, anche se sono andato oltre, senza fare finta di niente”.


Adesso c'è l'ultimo anno di liceo da fare, poi l'università, poi quel camice che lo aspetta in fondo al percorso:

Si torna dove si è stati bene e, a livello emotivo, io al Meyer sono stato bene: per questo ci sono voluto tornare con il progetto della scuola, e per questo sogno un giorno di tornarci a fianco dei bambini